La luce che racconta il Salento: viaggio nella storia delle luminarie

La luce che racconta il Salento: viaggio nella storia delle luminarie

Nel cuore del Salento, tra pietre antiche e silenzi interrotti solo dal vento di tramontana, esiste una forma d’arte effimera quanto spettacolare: le luminarie. Non sono solo luci. Sono architetture sospese, geometrie in legno e LED che trasformano i borghi in cattedrali di luce, e le feste patronali in esperienze visive collettive.

La loro origine è remota. Nel Seicento, quando la luce artificiale era ancora un privilegio raro, le comunità pugliesi iniziarono ad adornare i sagrati delle chiese con candele e fiaccole. Un gesto devozionale, certo, ma anche un bisogno: dare luce all’anima e visibilità alla fede. È a Scorrano che la leggenda si fa racconto popolare: durante una peste, Santa Domenica apparve in sogno a una donna, promettendo salvezza in cambio di luci accese alle finestre. La peste finì. Le luci rimasero.

Col tempo, le fiaccole lasciarono spazio a vere e proprie impalcature artistiche. Il legno, intagliato con la perizia di un ebanista e montato come un palcoscenico, divenne tela per le luci. Il Barocco leccese, con la sua teatralità, ne fu ispirazione e modello. Così le luminarie acquisirono proporzioni monumentali, imitando facciate, colonne, rosoni.

Poi venne l’elettricità. Negli anni Trenta del Novecento, le lampadine sostituirono le candele, inaugurando un nuovo capitolo. Le strutture crescono, i colori si moltiplicano, la musica entra in scena. Negli anni Duemila, l’avvento dei LED RGB segna un altro punto di svolta: non più solo luce, ma movimento, ritmo, coreografia.

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Nel Salento, le luminarie sono una cosa seria. Dietro ogni installazione si cela il lavoro di intere famiglie di artigiani, custodi di un sapere antico. I Parisi, i De Cagna, i Mariano sono nomi che hanno valicato i confini regionali, portando questa tradizione in giro per il mondo: Milano, Dubai, Tokyo.

Ma è in estate, nel tacco d’Italia, che la tradizione torna a casa. A Scorrano, durante la festa di Santa Domenica, ogni luglio si consuma un rito laico e collettivo: migliaia di persone accorrono per vedere l'accensione, una sinfonia di luci e suoni che dura pochi minuti e resta negli occhi per sempre. A Lecce, Galatina, Diso, Leverano, le luminarie disegnano skyline provvisori che rivaleggiano con l’architettura reale.

Le luminarie non servono solo a illuminare: servono a unire. Sono un atto di comunità, di orgoglio locale, di continuità culturale. Non è un caso che oggi si parli di candidatura Unesco per questa tradizione. Non è solo folklore, è patrimonio vivente.

Il futuro? Si gioca su due piani. Da un lato la sostenibilità: LED a basso consumo, materiali riciclabili, riduzione dell’impatto ambientale. Dall’altro, l’ibridazione con altri linguaggi visivi: arte digitale, video mapping, installazioni permanenti. Le luminarie si evolvono, ma senza perdere la loro natura effimera. Come i fuochi d’artificio, brillano per un attimo. Ma quell’attimo resta.

Nel Salento, la luce ha una sua grammatica. E le luminarie ne sono la poesia più popolare, più corale, più luminosa.

I rosoni dalla forma geometrica non smettono mai di incantare.

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